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Guida di Roma

Fondazione di Roma

Sommario Fondazione di Roma

Fondazione di Roma: Mito

Molti storici antichi raccontano che la fondazione di Roma, il cui nome non si sa con certezza da dove derivi (forse da Romolo, o dall'etrusco rumon ovvero fiume o ancora dall'osco ruma cioè colle), avvenne sul Palatino attorno al 750 a.C. per opera di Romolo, che ne fu anche il primo re. Oggi il Natale della città si festeggia convenzionalmente il 21 aprile dato che in quel giorno del lontano 753 a.C., lo storico romano Marco Terenzio Verrone, basandosi su calcoli dell’astrologo Lucio Taruzio Firmano, anch'esso romano, aveva fissato la nascita della città. In realtà non esiste una data sicura per la fondazione di Roma poiché nacque dalla progressiva unificazione di piccoli villaggi di agricoltori e pastori. Una così umile nascita per una città che dominerà l'Occidente era però inaccettabile, crebbero perciò per opera di storici e poeti della tarda Repubblica miti più nobili. Già Cicerone (106 a.C. - 43 a.C.) nel De republica fa affermare a Scipione l'Emiliano che l'inizio dello stato romano era "così illustre e così noto a tutti" confermando la data del 753 a.C.

Secondo la leggenda Enea fuggito da Troia distrutta, approda nel Lazio e dopo aver sposato Lavinia, figlia di un re che governava quelle regioni e che lo aveva ospitato, fonda Lavinio, amalgamando i Troiani con gli abitanti del luogo e dando il nome di Latini al nuovo popolo.
Ascanio, figlio di Enea, fonda Alba Longa (un villaggio probabilmente presso l’attuale Castel Gandolfo), da qui si ha una lunga genealogia di re fino a giungere, dopo circa due secoli, a Proca, padre di Numitore e Amulio. Quest'ultimo bandisce Numitore e gli uccide i figli maschi, mentre confina l’unica figlia Rea Silvia fra le sacerdotesse della dea Vesta, condannandola alla castità così da evitare un'eventuale discendenza che possa vendicare Numitore. Gli esuberanti sogni di Rea Silvia catturano però l'attenzione del dio Marte che la mette incinta dei gemelli Romolo e Remo. Alla loro nascita, lo zio Amulio li mette in una cesta sul Tevere pensando che le acque del fiume o del Tirreno, provvederanno a ucciderli (è evidente il richiamo al mito di Mosè). Ma la cesta, presso il pendio paludoso che univa il Palatino al Campidoglio (ovvero l'area pianeggiante del Velabro), viene raccolta da una lupa che salva e allatta i fratellini nella grotta del Lupercale, una caverna sulle pendici del colle Palatino (qualcuno pensa si tratti dell’ampio locale sotto le rovine della Casa di Augusto). Per questo motivo l'animale otterrà la gratitudine dei Romani che la eleggeranno a simbolo della città.
I gemelli, in seguito trovati dal pastore Faustolo, vengono da lui cresciuti insieme alla moglie Acca Larentia (forse chiamata lupa, cioè prostituta, perché si concedeva ai pastori), nel tugurium Faustuli sul Cermalus (una delle alture del Palatino) e che successivamente Romolo ristrutturò nella casa Romuli quando vi scelse inizialmente di abitare.
Una volta adulti, i fratelli tornano ad Alba Longa, uccidono lo zio Amulio, restituiscono il trono al nonno Numitore e costruiscono una loro città nei pressi del Tevere dove la zattera si era arenata. L'area è paludosa ma circondata da sette colli. I gemelli si scontrano sul nome da assegnare alla città che in realtà è solo un agglomerato di poche capanne di terra e fango. Decidono allora di salire sui colli: Romolo opta per il Palatino, Remo per l'Aventino. Chi vedrà più uccelli volare in cielo deciderà il nome: vince Romolo e la città si chiamerà Roma. Tramite una coppia di buoi i gemelli tracciano i confini della città sul Palatino, alzando il primo muro di cinta con il giuramento che chi lo varcherà con scopi ostili, verrà ucciso. Secondo il mito è proprio Remo a oltrepassarlo, forse adirato ancora per la sconfitta, Romolo allora lo uccide, divenendo il primo Re di Roma. Romolo getta le fondamenta delle mura l'XI giorno precedente le calende di maggio, tra la prima e la seconda ora (poco prima dell'alba n.d.r.), secondo la Collectanea rerum memorabilium dello scrittore Gaio Giulio Solino (III secolo), e popola Roma costruendo un rifugio sul Campidoglio (Asylum) dove tutti potessero trovare casa, compresi banditi, schiavi fuggitivi, servi, ribelli e assassini (lo scrittore greco Plutarco, nato attorno al 46, nella Vita di Romolo, collocata al settimo posto delle Vite parallele, afferma che: “Quando la città ebbe il suo primo insediamento, istituirono un luogo sacro per accogliere i fuggitivi, e lo posero sotto la protezione del dio Asilo: vi ricevevano tutti, non restituendo lo schiavo ai padroni, né il povero ai creditori, né l’omicida ai giudici; anzi, proclamarono che in seguito ad un responso dell’oracolo di Delfi avrebbero concesso a tutti il diritto di asilo. Presto la città si riempì di abitanti…”).
Affinché gli abitanti avessero mogli, fa rapire le donne dei suoi vicini, i sabini (Ratto delle sabine). Ciò provoca una serie di guerre, al termine delle quali romani e sabini si riappacificano e Romolo viene riconosciuto re di entrambe le popolazioni.
L'incremento demografico fu un importante obiettivo da perseguire dato che Romolo all'inizio era accompagnato solo da pochi esuli Albani, visto che Roma nasceva come una sorta di colonia di Alba Longa.
La più antica rappresentazione del mito dei gemelli fondatori finora ritrovata è quella dello specchio di Bolsena (III - IV secolo a.C.). La scena si ambienta nel Lupercale, Romolo e Remo compaiono al centro sovrastati dalla Lupa. Sulla destra appare Acca Larenzia, nutrice dei gemelli e subito sotto il dio Latino che indica Romolo, destinato a fondare Roma.

Ma in realtà Romolo rappresenta solo l'incarnazione del mito dell'eroe eponimo, ovvero di un uomo immaginario cui il narratore ha dato un nome simile a quello della città di cui si voleva spiegarne l'origine, un personaggio dunque costruito a posteriori, un nome derivato evidentemente da Roma. Una tecnica comune per spiegare fondazione, culti, costumi, ecc. che i romani avevano ereditato dai progenitori. Legando ogni cosa a una leggenda e legando queste tutte assieme, si crea una storia.

Ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma ritengono che gli abitanti dei villaggi laziali al tempo di Romolo e Remo, parlassero il latino arcaico, una sorta di protolatino barbarico e rude fortemente contaminato da espressioni degli etruschi e degli osci (una pluralità di popoli dell'Italia meridionale, inglobati dai Sanniti attorno al V secolo a.C.). Il latino imperiale, quello insegnato a scuola, era molto diverso da quello primitivo dell’VIII secolo a.C.

Fondazione di Roma: Storia e Archeologia

Italia preromana

Italia preromana
Italia preromana (clicca per vedere l'intera penisola)

Roma: primi insediamenti e sviluppo

Circa un milione di anni fa l'area romana era in gran parte sommersa dal mare, successivamente il livello delle acque andò progressivamente diminuendo.
A partire da 800.000 anni fa tale area fu interessata principalmente da sedimentazione fluviale e paludosa. Un grosso fiume, il Paleo-Tevere, trasportò e sedimentò grandi quantità di materiali erosi dalla catena appenninica e il suo corso subì diverse migrazioni (due diverse posizioni dell'alveo e del delta sono riconoscibili a Ponte Galeria - unità Paleo Tevere 1 - e nel centro storico di Roma - unità Paleo Tevere 2.
Circa 600.000 anni fa iniziò l'attività dei due distretti vulcanici dell'area romana, quello dei monti Sabatini a Nord-Ovest e quello dei colli Albani a Sud-Est, i cui prodotti fecero cambiare più volte percorso al Paleo-Tevere fino a una posizione simile all'attuale.
40.000 anni fa una colata lavica proveniente dagli odierni Castelli Romani coprì l'area su cui sorge la città e tuttora possono vedersi i resti di pietra lavica nel sottosuolo tufaceo. Il materiale lavico risultò utile per le cave da cui prelevare il materiale per costruire le strade.
18.000 anni fa, durante l'ultima glaciazione di Wurm, l'alveo del Tevere si approfondì nell'area della odierna Roma fino a 50 metri sotto il livello del mare e al suo interno si depositarono i materiali delle alluvioni nel successivo periodo interglaciale. La forma pianeggiante derivante dal riempimento dell'antico alveo rappresentò in epoca storica la zona di massimo sviluppo della città.

Il Lazio, differentemente da altre regioni italiane, non presenta tracce di vita umana permanente prima del II millennio a.C. forse per la rilevante attività vulcanica della regione. Fino al II millennio a.C. il paesaggio è comunque dominato da presenza diffusa di acqua e boschi di querce sempreverdi, carpini, frassini, aceri, olmi e tigli.
L’arrivo di varie genti (Aurunci, Ausoni, Capenati, Carricini, Ernici, Etruschi, Equi, Falisci, Frentani, Latini, Liburni, Marrucini, Marsi, Osci, Peligni, Petruzi, Piceni, Rutuli, Sabini, Sanniti, Umbri, Vestini, Volsci - probabilmente la prima penetrazione in Italia avvenne da Oriente più che da settentrione), unite a quelle autoctone, popolò la zona dell’Italia centrale. Erano popolazioni rurali o dedite alla pesca e con costumanze proprie, che a volte si scontravano per questioni di prevalenza.
Solo gli Etruschi si evolsero più degli altri per il fatto di essere un popolo di mare e per aver incontrato altre popolazioni costiere mediterranee; la maggior facilità dei trasporti è il motivo per cui commercio e arte si estesero con più velocità lungo le coste di mari e fiumi rispetto ad altre zone. Proprio dagli Etruschi i Romani trassero molti istituti religiosi e civili.
La cultura etrusca era a sua volta attratta da quella greca tant'è che adattarono alla propria lingua una variante locale dell'alfabeto greco.
Stanziati tra la Toscana, l'Umbria e il Lazio si espansero fino alla Campania, influenzando usi e costumi della nascente Roma: dalla religione agli istituti familiari, dagli armamenti alle regole e misure di commercio, dalla lingua all'alfabeto.

I greci chiamavano la penisola Espería (Terra dell’Occidente, per la sua posizione rispetto alla Grecia) e solo più tardi a questo termine si sovrappose quello di Italia (forse dal latino vitulus, cioè “vitello”), termine che in origine riguardava al massimo le regioni meridionali (le meglio conosciute dai greci) e indicava una “terra con vitelli” o, forse, “in cui si adorano i vitelli”. Con l’espansione di Roma il nome ricomprese tutto il territorio italiano.

Plinio il Vecchio racconta che esistevano, precedentemente alla fondazione di Roma, 30 popoli albani che appartenevano a una sorta di federazione facente capo ad Alba Longa, una città sull’orlo di un antico vulcano occupato dall’odierno lago di Albano dove oggi sorge Castel Gandolfo.
Dei 30 popoli, i Latinensi, i Veliensi e i Querquetulani si erano insediati nella zona della futura città di Roma.

Gli insediamenti preromani il cui convergere originò la Roma storica vedevano il Tevere dall'alto per vari motivi: ragioni di difesa, volontà di sfuggire alle piene improvvise e alla malaria che colpiva in pianura tra le paludi, prossimità della via Salaria che conduceva alle saline a Nord della foce del Tevere (il sale era un elemento imprescindibile perché permetteva di conservare i cibi), presenza di un guado sull'isola Tiberina che, grazie a un ponte naturale con i suoi banchi di sabbia affioranti, favoriva l’attraversamento e lo scambio di merci e bestiame tra differenti culture e forse anche perché il clima era più asciutto che in pianura, considerando che allora l'umidità era più alta di oggi. Ma a un certo momento scesero in pianura, forse per sfruttare le rive a scopi agricoli e per tagliare il legno dei boschi allo scopo di costruire case e barche, o semplicemente perché i monti primitivi non furono più in grado di provvedere alla sussistenza dei propri abitanti. L’isola Tiberina costituiva un fondamentale punto di scambio in corrispondenza del crocevia delle due strade più importanti dal punto di vista commerciale, la Via Salaria e la Via Campana che conduceva ai “campi salinorum”, ovvero le saline situate alla foce del Tevere, nella zona oggi corrispondente agli stagni di Maccarese.

A ridosso dell’Isola Tiberina, la piana acquitrinosa del Velabro (leggendario approdo della cesta di Romolo e Remo), sulla riva sinistra del Tevere, opitò il mercato del bestiame (Foro Boario) e quello degli ortaggi (Foro Olitorio). Era questo il punto di scambio tra le popolazioni etrusche che dominavano la riva destra e i villaggi del Latium vetus sulla riva sinistra, frequentato nell’VIII secolo dai Greci (probabilmente gli Eubei di Cuma; i greci giunsero in Italia attorno al 770 a.C. fondando Pitacusa, l'odierna Ischia, 20 anni dopo Cuma e successivamente molte altre colonie a sud) e dai Fenici. Lo sviluppo di un mercato fu un fattore fondamentale per la nascita della città. La successiva costruzione del primo porto di Roma, il Portus Tiberinus, non fece altro che confermare la natura commerciale della zona e così sin dalla fine dell’età del Bronzo fino all’età del Ferro (X-XI secolo a.C.) i rilievi di Campidoglio, Palatino e Quirinale vennero occupati da numerosi villaggi e la nascita di Roma avvenne proprio in seguito all’unione di questi agglomerati.
La soluzione dei fondatori di Roma fu dunque di stabilire al sicuro sulle alture il centro abitato, quello politico e quello religioso (Palatino e Campidoglio). In seguito con l’occupazione delle zone più vicine al Tevere vennero bonificate le zone più acquitrinose, fatti i primi lavori di idraulica per il controllo del fiume e costruito un poderoso argine, anche se nelle parti più basse furono ospitati prevalentemente edifici pubblici, come i Fori.

Frammenti di ceramica rinvenuti sul Campidoglio e nel foro Boario (area sacra di Sant'Omobono all’incrocio tra via Luigi Petroselli e Vico Jugario - Google Maps), databili all'età del Bronzo Medio (1600 - 1150 a.C.), fanno pensare che il territorio di Roma fosse ininterrottamente abitato almeno dall'anno 1000.
Nella futura area del Foro sono state inoltre rinvenute alcune tombe a cremazione, pratica soppiantata da quella inumatoria già nel IX secolo a.C. e il ritrovamento di urne cinerarie simili a quelle della regione albana, avvalora la tesi che alcuni abitanti dei Colli Albani andarono a stabilirsi sul Tevere scegliendo il Palatino per abitare e la zona del futuro Foro come sepolcreto. La scoperta di sepolture a inumazione del IX secolo a.C. sull'Esquilino e dall'VIII al XI sul Quirinale dimostrano altri stanziamenti su tali alture e sul Celio. Probabilmente mentre sul Palatino si stanziarono i protolatini di Alba Longa da cui discesero i Latini di Romolo, i personaggi che occuparono Esquilino, Quirinale e forse Celio erano i protosabini che originarono i Sabini di Tito Tazio (personaggio anch'esso leggendario). Queste due comunità probabilmente si fusero già nel VII secolo a.C. grazie all'uso, comune tra i primitivi, per il quale le famiglie romane sceglievano le spose fra i Sabini e viceversa, anche per evitare i rischi di matrimoni fra consanguinei.
Le capanne persistono anche nell'VII secolo a.C. insieme a case in pietra e con tetti di tegole (le cui prime testimonianze datano 650 - 625 a.C.; attorno al 650 furono anche abbattute le capanne tra i colli per realizzare un pavimento battuto rinforzato dopo un venticinquennio, era il primo Foro.

Preesistenti alla fondazione di Roma sono anche i culti di Fortuna e di Mater Matuta (la greca Leucothea) nell'area di S. Omobono e di quello di Portunus (il greco Melikertes, figlio di Leucothea, nonché il fenicio Melqart) nel Foro Boario. Anche il culto di Ercole (il greco Eracle e ancora il fenicio Melqart) doveva preesistere, in particolare l'Ara Maxima di Ercole esisteva prima di Romolo.

Al tempo della fondazione di Roma, che il noto archeologo Andrea Carandini ha dimostrato essere tra il 775 a.C. e il 750 a.C. (La fondazione di Roma raccontata da Andrea Carandini, Editori Laterza, 2013), a nord del Tevere erano stanziati gli Etruschi (grazie al DNA sappiamo che erano un popolo autoctono che condivideva il profilo genetico dei Latini della vicina Roma; affermatosi in un'area denominata Etruria, corrispondente all'incirca alla Toscana, all'Umbria fino al fiume Tevere e al Lazio settentrionale, successivamente si espanse a nord nella zona padana e a sud fino in Campania, si fusero con la civiltà romana al termine del I secolo a.C. in un processo che ebbe inizio con la conquista di Veio da parte dei romani nel 396 a.C.) e a sud i Latini del Latium vetus (popolo italico di origini indoeuropee stanziato, a partire dal II millennio a.C., lungo la costa tirrenica della Penisola italica, grosso modo in una zona delimitata dal Tevere a nord, dai Monti Prenestini e da un breve tratto del fiume Trerus, odierno Sacco, a est, dai Monti Lepini e i Monti Ausoni a sud, e dal mar Tirreno a occidente).

Etruschi e Latini
Stanziamenti dei popoli attorno alla futura Roma

L’isola Tiberina era un ottimo guado tra le rive etrusca e latina oltre che crocevia di due vie commerciali: quella che dalle città etrusche, tra cui Veio, arrivava in Campania dove erano state fondate le polis greche, e quella che dai monti della Sabina arrivava al mare, utilizzata soprattutto per il trasporto del sale (tramite la via Salaria e la via Campana). Su di essa sarebbe poi sorto, attorno al 642 - 617 a.C. e grazie al re Anco Marzio, il ponte Sublicio, vicino l'attuale ponte Palatino, il primo ponte di Roma, in legno e di cui non c'è più traccia; per la popolazione questo ponte era talmente importante che in relazione a esso nacque il più antico e massimo grado religioso al quale un romano poteva aspirare: il Pontifex maximus o Pontefice massimo).

Septimontium

Se prima della fondazione di Roma c’era un insediamento pre-urbano formato da piccoli villaggi sparsi, circa un secolo prima della nascita di Roma, gli archeologi hanno scoperto un grande centro proto-urbano (poco più piccolo della futura Roma di Romolo, 290 ettari (1 ettaro sono 10000 metri quadrati, ovvero un quadrato con lati da 100 metri), ma più grande di Veio, la maggior città etrusca, 190 ettari), suddiviso in rioni (curiae) e distretti (tribus), che ha allontanato i morti già dalla metà del IX secolo a.C.,  e che si sviluppa su sette monti («Dove adesso si trova Roma c'era un tempo il Septimontium così chiamato per il numero di montes che in seguito la città incluse all'interno delle sue mura», Varrone 116 a.C. – 27 a.C., De lingua latina, V, 41).
Il Septimontium era formato dalle seguenti alture o montes:

In un secondo momento, sembra sempre nell'VIII secolo a.C., il Septimontium fu allargato ai colles:

Septimontium
Roma: Septimontium

Per arrivare da questi villaggi agli splendidi monumenti di epoca imperiale ci volle il bagaglio di conoscenze portato dai Greci che, come detto, cominciarono a fondare colonie nel territorio italiano a partire dal 770 a.C. Da quel momento e fino all'età ellenistica essi influenzarono positivamente la successiva epoca romana divenendo uno dei principali fattori di sviluppo. Le case cominciarono a essere costruite non più tonde ma quadrate, intonacate e colorate, sorsero eleganti templi; la popolazione si acculturò, imparò a scrivere, leggere, a vestirsi, a costruire, si appropriò degli dèi greci (che a loro volta erano stati influenzati dagli Egizi nelle loro concezioni religiose).

Palatino

Il Palatino fu sede di importanti culti cittadini, tra cui quello della Magna Mater (Cibele), la cui statua fu rinvenuta presso l’omonimo tempio del III secolo a.C. sul colle stesso e, fra il II e il I secolo a.C., divenne il quartiere residenziale dell’aristocrazia romana, con eleganti dimore tra cui quella di Augusto che aveva un’abitazione formata da più edifici. Successivamente vi furono costruiti diversi palazzi imperiali: Domus Tiberiana, Domus Transitoria, Domus Aurea, Domus FlaviaDa vedere anche la Casa dei Grifi e il Criptoportico Neroniano.

La scoperta delle mura sul Palatino, nel versante che guarda la Velia, nell’ultimo quinto del Novecento ha dimostrato che la fondazione di Roma da parte di Romolo (la cosiddetta Roma quadrata sul Palatino, quadrata perché il Palatino ha una forma quadrangolare) è archeologicamente confermata.
Lo storico Publio Cornelio Tacito fornisce alcune indicazioni riguardo tale primo recinto quadrato della città, lungo circa un chilometro e mezzo: dall'attuale basilica di Sant'Anastasia al Palatino, all'incirca all'incrocio tra le odierne via dei Cerchi e via di S. Teodoro, fino alla chiesa di S. Gregorio, piegando poi verso l'Arco di Costantino, quindi verso l'Arco di Tito e la basilica di Santa Francesca Romana per ricongiungersi poi a via di S. Teodoro e scendere per il Velabro fino alla chiesa di Santa Anastasia. Le estremità erano segnalate da altari: l'ara massima di Ercole invitto (Herculis Invicti Ara Maxima) nel Foro Boario, l'ara di Conso (Ara Consi un altare consacrato al dio dei granai Conso dove è sorto poi il Circo Massimo), il santuario dei Lari (Sacellum Larum o Sacellum Larundae, recentemente identificato) ai piedi della Velia e le Curiae Veteres. Alcuni di questi tratti sfruttavano la conformazione del colle e non necessitavano di muri; lo storico romano afferma inoltre che il Campidoglio e il Foro romano furono aggiunti alla Roma quadrata da Tito Tazio: ipotesi confermata nel 2005 grazie alla scoperta di un grande palazzo con architettura a capanna nell'area del tempio di Vesta nel Foro Romano che potrebbe essere il palazzo dei primi re di Roma.

Roma quadrata
Roma quadrata

Accanto al santuario circolare di Vesta (dea del focolare domestico, venerata in ogni dimora e nel tempio del Foro Romano ardeva perennemente il suo fuoco grazie alle vestali, vergini sacerdotesse;  il tempio simboleggiava la sicurezza della città e fu spento solo nel 391 sotto l’imperatore Teodosio), a noi giunto nella ricostruzione dei primi del III secolo, sono stati infatti scoperti i resti di quello che potrebbe essere il palazzo reale e che, dopo i re, è divenuto la dimora del Rex sacrorum, il capo spirituale. Inoltre più a ovest è venuta alla luce una capanna ovale, lunga 12 metri, con due focolari agli apici e uno al centro, i piani di cottura e i rispostigli per i cereali. Era la casa delle Vestali. Infine la pavimentazione fatta di ghiaia e ciottoli, è da identificare nell'originario pavimento del Foro dell’VIII secolo a.C.

In cima al Palatino, in una zona di pochi ettari circondata da paludi, sono stati ritrovati i solchi scavati nel tufo per costruire i muri perimetrali e i buchi per i pali che sorreggevano i tetti di paglia e rami di capanne in legno e argilla costruite in epoche successive a cominciare dal IX secolo a.C.. L’abitazione ovale più antica (forse la dimora dove si dice Faustolo crebbe Romolo - tugurium Faustoli) venne rimpiazzata a metà dell’VIII secolo da due capanne tangenti più piccole erette nel perimetro della precedente (una è forse la dimora di Romolo - casa Romuli - mentre l’altra era dedicata ai culti regi di Marte e Ops, dea dell’opulenza).

Sul Germalo, altura del Palatino che digrada verso il Tevere, sono state riportate alla luce le impronte – impresse nella roccia tufacea – di tre strutture abitative. Quella conservata meglio è la cosiddetta “Capanna A”, un rettangolo di 17,64 metri quadri. Sette fori lungo il perimetro indicano la posizione dei pali che costituivano l’ossatura delle pareti. Un foro al centro indica la presenza di un palo che doveva sorreggere la copertura. La porta, su uno dei lati brevi, era preceduta da un piccolo portico sostenuto da due pali. Un focolare era collocato al centro della capanna.

Roma: Capanne sul Palatino nei pressi della scalae Caci dove Plutarco racconta vi fosse la residenza di Romolo. Ricostruzione capanna A e villaggio circostante
Roma: Capanne sul Palatino nei pressi della scalae Caci dove Plutarco racconta vi fosse la residenza di Romolo. Ricostruzione capanna A e villaggio circostante

Dimora di Romolo
Roma: Capanne sul Palatino nei pressi della scalae Caci dove Plutarco racconta vi fosse la residenza di Romolo

Edifici antichi sul Palatino

L’intervallo cronologico carandiniano della nascita della città-stato di Roma trova conferma, oltre che nelle citate evidenze archeologiche degli scavi sul Palatino, anche nei maggiori autori latini che scrivono della fondazione (Virgilio 70 a.C. – 19 a.C., Dionigi di Alicarnasso 60 a.C. ca. – 7 a.C., Tito Livio 59 a.C. – 17, Ovidio 43 a.C. – 17, Plutarco 46 ca. – 125 ca.). Secondo Carandini tutte queste scoperte «consentono di convergere sulla stessa data dell'VIII secolo a.C.», che più o meno combacia con la tradizione del 21 aprile 753 a.C.

Attraverso le epigrafi (ovvero le iscrizioni incise pervenuteci) è possibile ricostruire il calendario di Roma al tempo di Romolo (calendario romuleo); questo partiva da marzo ed era fatto di 10 mesi (non a caso l’odierno calendario ha settembre, ottobre, novembre, dicembre e solo con il re Numa Pompilio, successore di Romolo, al calendario romuleo di 304 giorni furono aggiunti gennaio e febbraio).
Al 21 aprile i calendari epigrafici (fonte) festeggiavano, oltre che la festa di Pales, anche Roma condita (Roma fondata). In questa data i Latini celebravano, già precedentemente alla fondazione di Roma, la festa dedicata alla divinità protettrice del Cermalus (Pales); questa ricorrenza era chiamata Parilia o Palilia ed era il capodanno dei pastori, una festa legata alla nascita degli ovini e alla purificazione rituale di uomini e greggi, una festa per propiziare la fertilità del bestiame; questa data fu scelta per fondare la città, quindi il capodanno pastorale segna l’inizio di Roma. Una data consona per una città fondata e abitata principalmente da pastori.

La cerimonia della fondazione di Roma era ispirata al rito etrusco-latino del riporre le terre delle diverse provenienze dei cittadini, verosimilmente dei rioni (curiae) e forse anche dei distretti (pagi) del territorio (ager) e primizie dei cereali (raccolti nei medesimi territori) all’interno di una fossa chiamata mundus (da non riaprire più) dinnanzi la capanna regia, accanto alla quale vi era un’ara dove venne acceso il primo fuoco del primo re della città; il tutto venne fatto sul Cermalus, davanti la casa di Romolo. Davanti alle regie capanne (re e sacrari di Marte e Ops) e davanti alla fossa con ara della fondazione, oltre la strada delle scale di Caco (le scalae Caci mettevano in comunicazione il Palatino con il Foro Boario e di esse restano solo pochi resti), vi era uno spiazzo dove il 21 aprile fu celebrata la fondazione di Roma.
Successivamente avvenne la benedizione del Palatino entro un limite chiamato pomerium. Quest'ultimo era una linea contrassegnata da cippi in pietra che delimitava il territorio cittadino sede della pratica divinatoria degli auspicia urbana. È inteso come il solco primigenio tracciato da Romolo sul Palatino. Per il suo significato di cinta sacrale, doveva circondare tutto il centro abitato. Venne poi ampliato da Servio Tullio, e successivamente da Silla, Cesare e dagli imperatori Claudio, che per primo vi incluse l'Aventino, e Vespasiano, ma con il tempo se ne perse l'esatta cognizione del percorso; tutti gli imperatori che ampliarono il pomerio ricorsero alla motivazione di Valerio Messala Rufo, console nel 53 a.C., secondo cui solo chi ha accresciuto il popolo romano conquistando territori ai nemici, può estendere il pomerio.
Fu così tracciato il sulcus primigenius (ovvero una traccia religiosa che segnava dove avrebbe dovuto sorgere il muro per proteggere il pomerium cioè la linea sacra che definiva la benedizione) sul quale venne edificato l’inviolabile murus sanctus 775/750 a.C. (che secondo la leggenda Remo saltò e per punizione venne ucciso).
Il sulcus primigenius aveva tre porte: Porta Mugonia (sotto la quale fu compiuto il rituale del sacrificio di una bambina e, insieme a lei, deposto il corredo composto da coppa, tazza, sonaglio; sotto la soglia della porta è stato effettivamente ritrovato quanto detto), porta Romanula e un’altra sconosciuta. Onde evitare che la protezione religiosa della città fosse vanificata da tali aperture, le porte erano protette da Giano, dio dei transiti.

Roma: oggetti del rituale del sacrificio ritrovati sotto la Porta Mugonia

Romolo e Tito Tazio (sovrano sabino e poi re di Roma che governò per 5 anni insieme a Romolo) crearono successivamente una radura lucus (750 a.C. o poco dopo) separata tramite  la Nova via (così chiamata per distinguerla dalla già esistente via Sacra) da un bosco (nemus) che fu consacrato a Vesta, presupposto per la creazione del Foro. Lucus e nemus formavano lo spazio del santuario. La radura doveva accogliere la nuova casa dei re con i sacrari di Marte e Ops e il culto dei Lari, e la prima casa delle vestali davanti alla dimora di Vesta aedes Vestae; quest’ultima e a una certa distanza il Volcanale, rappresentavano i limiti sacrali del Foro.

La creazione del perimetro sacro del pomerio è certamente un atto fondativo di una comunità con una consapevolezza tale da recintare uno spazio all'interno di un limite simbolico sottraendolo dall'esterno; chiunque lo fece, Romolo o meno, è da considerare il fondatore di Roma, anche se il sito era già occupato da molti secoli.
Il pomerio divideva sostanzialmente lo spazio politico romano in due: cioè l'Urbe (ovvero uno spazio interno pacificato dove la morte non poteva avere spazio, tant'è che era vietato inumare o cremare i defunti; solo un millennio dopo, nel VI secolo, prese infatti consistenza l'uso di seppellire i morti in città) dall'esterno. Nel pomerio, che nei suoi poco meno di 300 ettari definiva il perimetro sacro della città e ne delimitava il centro urbano, ricaddero Quirinale, Viminale, Esquilino, Celio, Palatino. Nel Foro il mundus simboleggiava il centro della città e la via Sacra l'asse principale che collegava il Palatino con il Campidoglio e che comprendeva la Regia (antica residenza dei re e sede di culto), i templi di Saturno, Vesta, Castore e Polluce e in cui si svolgevano le processioni dei trionfi militari, nonché i funerali delle famiglie più importanti e i giochi gladiatori.

Gli auspicia (avis e spicio osservazione degli uccelli) regnavano sull'intera vita politica e religiosa della città. Anche l'origine della città ne fu vincolata: la decisione su chi tra Romolo e Remo dovesse fondare la città, fu presa dopo aver osservato il volo degli uccelli. Successivamente il termine auspicium indicò anche altro (segni provenienti dal cielo come tuoni, fulmini, segni provenienti dai quadrupedi, ecc.).

Famiglie originarie di Roma

Secondo lo storico romano Tito Livio (59 a.C. - 17), alla fondazione di Roma si sarebbero federati clan già esistenti sotto l'opera aggregante di Romolo, a cui si unirono (in conseguenza del ratto delle sabine) familiae al seguito di Tito Tazio, amalgamando il popolo romano e sabino. Le gentes originarie, cioè le famiglie che si identificavano in un capostipite comune, sarebbero state un centinaio, divise nelle tre arcaiche tribù dei Ramnes (latini, i romani autoctoni), Tities (sabini), Luceres (etruschi).
I componenti di una gens possedevano il medesimo nomen (l’odierno cognome), ma i suoi rami, ovvero le famiglie, avevano diverso cognomen (il soprannome che designava la famiglia nucleare, cioè la comunità formata da genitori e figli). Per esempio la gens Aemilia comprendeva gli Aemilii Mamerci e Mamercini, gli Aemilii Papi, gli Aemilii Barbulae, ecc., la gens Cornelia includeva i Cornelii Scipiones, i Cornelii Balbi, i Cornelii Lentuli, ecc. I nomi maschili tipici racchiudevano tre nomi propri (tria nomina): praenomen (l’odierno nome proprio), nomen e cognomen.
Romolo avrebbe radunato i capi (patres, da cui deriva patrizio) delle cento famiglie originarie, creando il Senato, all’epoca organo consultivo del re.
Tra esse lo storico tedesco Theodor Mommsen nel XIX secolo identificò le gentes maggiormente arcaiche con le famiglie Aemilia, Cornelia, Fabia, Horatia, Menenia, Papiria, Romilia (reputata dal Mommsen la più antica, vista l’omonimia con Rom e che coinciderebbe con il clan di Romolo), Sergia, Veturia (o Voturia) mentre, tra quelle che si estinsero annovera anche le gentes Camilia, Galeria, Lemonia, Pollia, Pupinia, Voltinia.
Per Tito Livio tra le gentes originarie bisognerebbe inserire anche quelle per chiarire la genesi del Lacus Curtius (un sito dove, in seguito al ratto delle Sabine, si svolse la battaglia del lago Curzio tra l’esercito di Romolo e i Sabini di Tito Tazio e che, alla fine, unì i due popoli; il fiume straripò per le piogge lasciando, nel futuro luogo dove sorse il foro romano, una melma ristagnante tanto che il comandante sabino, Mezio Curzio, quasi ne fu inghiottito, da qui ne derivò il nome) e quindi le famiglie Curtia e Hostilia, un cui discendente fu il terzo re di Roma Tullo Ostilio (di origine sabina dal suo mitico capostipite Ostio). Altre antiche gentes sabine sono le famiglie Pompilia, da cui Numa Pompilio, secondo re di Roma; Marcia, da cui Anco Marzio, quarto re di Roma; Valeria, giunta assieme a Tito Tazio, fu un’importante famiglia d’età repubblicana.
Alle gentes originarie dovrebbe appartenere, date le mitiche origini troiane e quindi albane, anche la gens Iulia, da cui Gaio Giulio Cesare.
Il Mommsen menziona inoltre l’insediamento nella zona dell'Aniene della gens Claudia, di origine sabina, ma il suo trasferimento a Roma risalirebbe solo al V secolo a.C.